Memoria della Grande Guerra
Sono partito per la guerra a 22 anni, dopo un anno di addestramento. Ero contento...Anca se no se parte contenti, bisogna partir lo stesso: mejo partir contenti...
Dovevamo conquistare i territori italiani. Gli austriaci erano disposti a darci Trento e Trieste, senza combattere, per accorciare il fronte...A voce, però. Gli italiani non ci credevano, infatti gli austriaci erano lì che ci aspettavano.
Io ero caporale d'artiglieria: sparavo con la bombarde. Ho combattuto a Gorizia, a Santa Gorizia! Era una guerra di trincea, però io combattevo in seconda linea. Nella prima linea c'erano i fucilieri. Loro partivano con la baionetta innestata gridando: Savoia e combattevano corpo a corpo. I era imbriaghi...Prima dell'assalto i ghe dea un litro de cognac...
Pensavo: Me cope, pitost che me mande là!. Nei primi tempi abbiamo adoperato il gas, ma poi è stato abolito perchè uccideva anche i civili. Da principio, reggimenti interi disertavano e passavano al nemico, ma questo è cessato quando il nostro governo ha incominciato le decimazioni. I ne metea tuti in fila...7..8..9..fora! I li metea sentadi su 'na carega e...fuoco! Cossa che me ha tocà veder...
Un giorno sono là, con tre compagni, in una piazzuola; disteso all'ombra dei pini. Vengono avanti due soldati con altri due ammanettati. Dove 'ndeo? 'nden a farghe la festa. Erano disertori. Li hanno fucilati. Al paese, sulle porte delle loro case, scrivevano TRADITORI. Le loro famiglie venivano perseguitate e spesso le loro case bruciate.
Al fronte, le cose più terribili sono state la fame e la sete. Acqua ce n'era ma i fossi erano rossi dal sangue e bisognava andare ad attingerla ad un pozzo lontano. Un giorno sono andato al pozzo con la gavetta e le borracce. Ho preso un sasso, l'ho legato al collo della gavetta e l'ho calata giù. Sono venuti su dal pendio due soldati ungheresi per attingere acqua anche loro. Mi hanno chiesto se prestavo loro la gavetta. Quando che vee finì ghe dee a lori...Se parlea insieme...ono taliano. Così abbiamo riempito tutte le borracce e...via! Se se volea ben parchè noialtri no se ghe vea fat gnent a lori, e lori no i ne vea fat gnent a noialtri. Come soldadi se era come fradei.
Abbiamo patito tanta fame: siamo stati quattro o cinque giorni senza mangiare, senza rifornimenti. Ci dicevano di risparmiare la galletta ma solo a sentirne l'odore se 'ndea in afano.
Un giorno andiamo in due sull'Isonzo, dove c'erano le cucine, a prendere da mangiare con la marmitta infilata sul fucile. Arriviamo sulla strada che porta a Redipuglia. Usciamo allo scoperto e gli austriaci ci vedono e cominciano a sparare. Salta fuori un capitano italiano con la rivoltella: Vigliacchi, ci fate ammazzare tutti!. Ciapa 'na corsa..Zo la marmita..Rebalta fora tut.. Il giorno dopo sono andato a raccogliere i pezzetti di carne e li ho mangiati così com'erano.
Eh! La guerra è brutta!!! Non c'era un metro di terreno dove non fosse scoppiata una bomba. Dopo l'assalto i feriti rimanevano sotto i reticolati. Urlavano giorno e notte finchè morivano dissanguati. Noi cercavamo di tirarli verso le nostre trincee usando pezzi di spago. Qualche volta il nostro tentativo riusciva ma, spesso, i reticolati dilaniavano i nostri compagni che arrivavano nella trincea peggio di prima.
Un giorno, mentre scendevo dall'osservatorio per andare al ricovero, è caduta una bombarda che ha portato via il pezzo di artiglieria. Io sono rimasto lì, ferito, con una gamba rotta. Sono venuti a prendermi due miei amici di Castelfranco. C'era un grun di morti perchè continuavano a bombardare. Se non mi avessero portato via subito, sarei rimasto lì. Mi hanno portato all'ospedaletto da campio, poi mi hanno trasferito a Milano e a Firenze.
Intanto i nostri hanno perso a Caporetto; il generale Cappello ci ha tradito andando d'accordo con i tedeschi. L'ha ciapà la mandola, ha ritirato i soldati di prima linea e i tedeschi sono venuti avanti. Perbacco se è vero!!!
Sono arrivati fino al Piave. La mia famiglia è stata invasa. In ospedale è venuto a trovarci Sua Maestà il re, che l'era picenin poret, e 'l me fea pecà. Mi fa: Sai niente della tua famiglia? Non so niente, Maestà Stanno tutti bene. Il re sapeva questo perchè qui a San Vendemiano c'era un certo Camillo De Carlo che faceva la spia e aveva detto che il tiro dei cannoni del Piave non arrivava fino a qui. Egli passava le linee di notte e poi, vestito da vecchio mendicante, si aggirava in mezzo ai tedeschi. Quando andava dai suoi mezzedri a chiedere una scudea de fasoi, essi stessi non lo riconoscevano. Si metteva d'accordo con le donne che stendessero il bucato in un certo modo: ciò indicava agli aerei italiani la posizione degli austriaci.
Eh! è stata lunga la guerra!!! Quando abbiamo saputo che era finita ven fat baldoria..imbriaghi tuti..rancio speciale.. Per la mia ferita mi hano dato la medaglia e la pensione (dopo aver sostenuto una visita di controllo a Roma).
Le medaglie sono lì, appese, perchè tutti le guardino. Guardatele anche voi!!! Perbacco se sono contento di averle!!!
LA GUERA L'E': FAME E COPAR. CHE NO GHEN VEGNE PI', MADONNA, GUERE!!!!
Questa è la memoria del mio bisnonno, di S. Vendemiano (TV), raccolta quando aveva 86 anni e conservata dalla famiglia.
Nella speranza che la sua storia possa continuare a vivere in chi la legge e che, insieme a tutte le altre testimonianze, ci ricordi quale atrocità sia la guerra...
Recruitment and Conscription
45.8911895,12.326722700000005
Women
Military Punishment
Mario Giacuzzo
Trench Life
Interview
CONTRIBUTOR
Chiara Cettolin
DATE
1916
LANGUAGE
ita
ITEMS
2
INSTITUTION
Europeana 1914-1918
PROGRESS
METADATA
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Memoria sulla Grande Guerra
15 Items
Chiamato alle armi il 22 maggio del 1915 nel 10° Reggimento Bersaglieri, partecipai ad un corso celere di istruzione militare a Matiniti Superiore sulla costa calabra. (a) Comandante era il Colonnello Vito Artale di Palermo, destinato poi a perire tragicamente alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Fui iscritto nella III Categoria come Sottotenente di Milizia Territoriale ,arma di artiglieria, in quanto unico figlio maschio. Il 3 ottobre del 1915 prestai giuramento di fedeltà e col grado di sottotenente fui subito assegnato al IV° Reggimento di artiglieria da fortezza nel campo trincerato di Col Vaccher, di fronte alle tre Tofane, a Tai di Cadore dove erano appostati cannoni di calibro 149 su affusti rigidi puntati sulle Tofane per impedire che fossimo battuti da esse e con lo scopo di prevenire probabili attacchi nemici. A Sottocastello di Cadore era insediato il Comando. (b) Dietro ordini del Comando Supremo, due ufficiali tra i più qualificati (c) furono trasferiti nel Cadore sulle alture di Ornella di fronte al Col di Lana sulla tagliata di Ruaz, sotto il fiume Cordevole nell’alto bellunese (d), con una batteria composta di due sezioni: la prima comandata dal Ten. Torelli e la seconda da me. Erano pezzi in bronzo, molto antiquati, posti su supporti rigidi. Finalmente il 30 marzo del 1916, giunto in territorio dichiarato in stato di guerra, fui aggregato alla III° Batteria da campagna del 33° Raggruppamento d’artiglieria da campagna, installato a metà costa sul monte, dotato di pezzi ed affusti a deformazione 75/27 Deport che consentivano una rapidità di tiro maggiore. Comandava il Reggimento il Capitano Bitossi, toscano, dotato di competenza, fegato ed intrepido coraggio che costituiva un vero tormento per gli austriaci. Era soprannominato “Barba elettrica”. Non dava mai tregua al nemico avendo addirittura messo in postazione i pezzi oltre il punto più avanzato delle nostre trincee occupate dalla fanteria, mascherandoli efficacemente tra i massi antistanti ai reticolati sul costone di Ciampovedil, in prossimità della confluenza del Cordevole col torrente Ornella. Su quelle postazioni restammo fino al 17 aprile del 1916 allorquando il sottotenente del Genio Ing. Duca Gelasio Caetani di Sermoneta decise di effettuare il brillamento di due enormi fornelli che erano stati scavati sotto la vetta del Col di Lana. Alle 23.35 del 17 aprile del 1916 fu dato alle nostre truppe il segnale dell’accensione e la cima fu ridotta dalla formidabile esplosione di cinque tonnellate di gelatina esplosiva un cratere nel quale trovarono la morte un centinaio di uomini del presidio austriaco. Altri 160 vennero fatti prigionieri da un battaglione del 59° Fanteria, che occupò immediatamente la vetta sconvolta, mentre le nostre artiglierie entrate in azione con perfetta simultaneità subito dopo la forte esplosione, tenevano sotto vivissimo fuoco gli accessi della posizione per impedire l’accorrere di riserve nemiche. Anche i nostri ripetuti attacchi dei giorni seguenti, se ci diedero il possesso di qualche importante posizione intermedia fra il Col di Lana e il Sief, non valsero però a sviluppare convenientemente il successo iniziale sulla importante barriera montuosa Sief-Settsass. Ripresa la lotta alla fine di maggio, una forte azione della Brigata Reggio (45°-46° Fanteria), ci diede il 25 maggio anche il possesso del “Dente del Sief”. Il 30 luglio del 1916 nuovo attacco dell’artiglieria. Il 2 agosto la 18° Divisione attaccò sul Col di Lana due forti posizioni: il Panettone e il Cappello di Napoleone. Nel 1917, già promosso Tenente di Complemento il 17.9.1916, avvalendomi di una disposizione del Ministero della Guerra, fui aggregato al II° Reggimento d’Artiglieria da montagna nella 14a batteria. Il 16 maggio, nel settore di Plava, la 14a Batteria è in azione quando giungono le truppe della 53.a Divisione al comando del Generale Gonzaga. Il 18 maggio, in mattinata, dopo breve ma intensissimo fuoco d’artiglieria, la 53° Divisione mosse all’attacco per raggiungere tutti gli obiettivi assegnati: la conquista sul Vodice delle quote 652 e 503. Il giorno successivo, il VII° raggruppamento al comando del Maggiore Amalfitano e il II° Reggimento d’artiglieria da montagna in fraterna gara di slancio offensivo, a costo di qualsiasi sacrificio, di notte risalirono gli impervi sentieri del monte per raggiungere le posizioni. In località “La Casa del Pastore”, le artiglierie austriache, dotate di pezzi più potenti dei nostri cannoni da 65/17, bombardarono la lunga colonna che trasportava pezzi e munizioni. Le perdite furono assai ingenti. Il Capitano Ing. Guglielmo Gerbella, che era al comando della XIVa Batteria, fu ferito insieme ad altri sei ufficiali comandanti di sezione, vari sottufficiali e alpini. Io, rimasto illeso, assunsi il comando dell’intera batteria in azione di appoggio alla Brigata Teramo ed agli alpini del 12° Gruppo che muovevano alla conquista della selletta del Vodice ed al consolidamento della posizione di Quota 652. In quei giorni il Vodice era un inferno, sempre avvolto tra gli scoppi dei proiettili. Motivazione della medaglia d’argento sul campo concessa e proposta dal Gen. Principe Maurizio Gonzaga al Ten. Giovanni Saija: “Caduti tutti gli ufficiali della batteria in seguito ad un violento bombardamento di grossi e medi calibri, assumeva il comando e malgrado le gravi perdite subite, continuava il tiro dei propri pezzi, dando ai superstiti eroico esempio di calma, di coraggio e sprezzo del pericolo”. Selletta del Vodice, 19.V.917. (e) Nei giorni 21 e 22 maggio, la Batteria fu sempre in azione a contrastare i contrattacchi furiosi del nemico. Soltanto il 31 maggio al II° Reggimento di artiglieria da montagna giunse l’ordine di ripiegare nelle retrovie su Plava. Dopo avere contro il nemico esauriti tutti i proiettili, i nostri cannoni, resi inservibili per l’uso, dovettero essere sostituiti da nuovi ed anche i posti lasciati dai tanti morti e dai feriti, dovettero essere sostituiti da complementi ausiliari numerosi. In tale occasione la XIVa Batteria fu anche citata in un bollettino di guerra. Ugualmente in occasione della XIa battaglia dell’Isonzo. Alle 16 del 17 agosto ebbe inizio il tiro di preparazione dell’ XIa battaglia dell’Isonzo. Il nostro gruppo (7°) e le batterie della XIVa del Reggimento da montagna (io comandavo la 4° sezione) possedevano proiettili a shrapnel colorati per indirizzare i pezzi dei grossi e medi calibri a sparare sui punti di maggior resistenza nemica. Il 7° Gruppo fu impiegato tutto e la 14a batteria, divisa in sezioni, attraversò l’Isonzo (fu citata nel bollettino di guerra). A tal proposito, erano stati creati presso la 2° Armata i primi Reparti d’Assalto: compagnie, poi battaglioni, di fanti scelti per spiccate qualità fisiche e di ardimento con sezioni di artiglieria da montagna, sezioni di mitragliatrici e drappelli del Genio. Ne fece parte anche la 14a Batteria con risultati eccellenti: attraversato l’Isonzo, la 14a batteria non si arrestò e proseguì instancabile fino alla vetta. Il nostro schieramento sull’Isonzo, che da due anni aveva sempre attaccato, era decisamente offensivo in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi dettagli ed assumere uno schieramento difensivo ad oltranza significava ripiegare all’Isonzo, abbandonando al nemico senza combattere il Monte Nero e l’arido altopiano della Bainsizza, a nord est di Gorizia. La migliore soluzione sembrava quindi fosse quella di restare dove si era per contrattaccare fortemente il nemico. Inoltre l’assunzione di uno schieramento difensivo avrebbe richiesto molti mesi di lavoro: possibilità di muoversi soltanto di notte, stagione inoltrata, spostamento di migliaia di batterie, di munizioni, di magazzini, di collegamenti telefonici, di osservatori e di comandi Il terreno prevalentemente montuoso non si prestava ad una difesa elastica ed era meglio quindi attaccare anche per difendersi. Essendo il nemico inferiore anche in solidità ed in esperienza, il comando tedesco si rese conto subito che si trovava proprio in una base di inferiorità sia per la morfologia del terreno che per lo squilibrio delle forze. Le difficoltà di far muovere e vettovagliare le truppe in così piccolo spazio sia per la stagione inclemente e per il pessimo stato delle poche strade si rivelarono subito anche al comando della nostra IIa Armata dell’Isonzo. Il generale Cadorna, fin dal settembre 1917 , appena ebbe la sensazione del grande attacco austro-tedesco, rinunciò alla progettata offensiva e prese le prime disposizioni per la difesa. I comandanti in sott’ordine non ebbero però un chiaro intuito dell’imminente pericolo, e non vi fu unità di vedute circa i mezzi più idonei per affrontarlo. Il tradimento di un disertore tedesco svelò il piano di attacco, ma non disse quello della data dell’inizio; poi anche per il tempo sfavorevole sembrò poco probabile che un attacco si verificasse in quel periodo. Gli italiani furono tatticamente sorpresi tanto che la IIa armata non sviluppò una reazione unitaria forse perché le sue condizioni non glielo consentivano. Inoltre lo sfondamento di Plezzo-Tolmino da parte degli austro-tedeschi potè riuscire in quanto le truppe attaccanti erano ben preparate e largamente dotate di munizioni e di mezzi tecnici. Dopo l’offensiva sulla Bainsizza dal 18 agosto al 12 settembre del 1917, il IV° Gruppo al comando del maggiore Amalfitano, a cui faceva parte integrante anche il II° Reggimento di artiglieria da montagna trincerato a Vhr, non era stato spostato da quelle posizioni. Infatti le sezioni della XIVa batteria con tutti i loro pezzi erano sparse in un perimetro di circa un chilometro, coadiuvate anche da sezioni di mitragliatrici e da bombarde. Secondo alcune voci divulgatesi fra la truppa l’inizio della controffensiva nemica si sarebbe dovuta scatenare dal 18 al 20 ottobre del 1917. Infatti il 21 ottobre dal comando del Corpo d’armata giunse l’ordine alle truppe dislocate sulla Bainsizza di ripiegare su Plava. Il IV° Gruppo e il II° Reggimento artiglieria da montagna dalle postazioni di Vhr (quota 774), iniziarono il ripiegamento. Il 25 di ottobre del 1917, all’alba, sull’altipiano della Bainsizza sotto quota 774 presso la località di Robi, mentre agli alpini della mia sezione (la IVa) predisponevo, dietro ordini ricevuti, di abbandonare la posizione, fui ferito da pallottole di mitragliatrice e da numerose schegge di granata. Insieme con me caddero altri sedici alpini, però riuscimmo con tutta la sezione a sfuggire alla cattura del nemico. Ai miei alpini detti l’ordine di rendere inefficienti i pezzi per impedire che cadessero in mano del nemico. Caricato da due alpini sopra una rudimentale barella formata da una giubba ed alcuni rami, fui trasportato nel vicino posto di “pronto soccorso”, dove l’aspirante ufficiale medico Ramellini, piemontese, prestò affrettate medicature tamponando le profonde ferite riportate alla gamba sinistra e destra, quindi fui trasportato ed immesso nell’ospedaletto da campo 0.22 di Manzano, diretto dal Capitano medico Prof. Camera. Due giorni dopo, era la sera del 27 verso le ore dieci circa, in seguito al ripiega-mento della seconda Armata comandata dal Gen. Capello, al continuo incalzare del nemico, al tremendo brontolio dei proiettili nemici che scoppiavano sempre più vicini all’ospedale dove tutte le corsie erano zeppe di feriti, il prof. Camera decise di far sgombrare al più presto l’ospedale ed informò i degenti che i feriti in condizione di poterlo effettuare, si dirigessero a piedi verso Udine mentre per tutti gli altri egli non poteva garantire il trasferimento. Per un caso puramente fortuito dovuto alla presenza in ospedale di un colonnello anch’esso gravemente ferito e di una sorella ispettrice della Croce Rossa Italiana, l’Ospedale poté essere in gran parte evacuato nel pomeriggio del 28 ottobre ed anche tutti i feriti gravi, e dunque impossibilitati a muoversi, vennero trasportati nel pomeriggio sopra alcuni camion alla stazione di Manzano e sistemati sopra un treno merci, composto principalmente da carri a sponde alte e scoperte che verso le ore 20 si mosse per raggiungere Udine mentre pioveva a dirotto. Mentre il treno della “sofferenza” avanzava cautamente a velocità ridottissima ed il silenzio era rotto a tratti dal crepitio delle mitragliatrici, a cento metri dalla stazione di Pradamano, esso fu costretto a fermarsi. Un ponte era stato minato e un battaglione di bersaglieri rinforzato da reparti di arditi contrastava l’avanzata di un reparto tedesco. Rabbiose raffiche di mitragliatrici e di bombe a mano venivano scambiate da ambo le parti investendo le schegge e i proiettili anche le fragili pareti dei carri, tanto che alcuni militari morirono per le successive ferite prodotte dall’improvviso ed aspro combattimento tra i nostri e il nemico. Dopo una notte insonne, all’alba, ci rendemmo ulteriormente conto della nostra difficile e penosa situazione. Gruppi di sbandati fuggiaschi sia civili che militari percorrevano le prode, i fossi dei campi vicini e così brevi periodi di silenzio si alternavano ad alte grida scomposte. Convinti com’erano i fuggiaschi che una volta raggiunta Udine essi fossero già salvi, nessuno di loro si interessava, purtroppo, della nostra situazione. Rotti i legami organici, quella era solo una folla di buoni e di cattivi, non esercito. Poi, questa sosta forzata di oltre 200 feriti in vagoni merci immobilizzati sul binario, divenne la causa di penose ed inenarrabili difficoltà, che in capo a tre giorni, divennero insopportabili. Per tre giorni e quattro notti nessuno sentì i lamenti dei feriti più gravi, per cui rimanemmo senza alcuna assistenza, completamente digiuni e senza acqua e senza medicazioni. Durante quei tre giorni ho veduto passare lungo la strada ferrata delle pattuglie nemiche composte da due soldati austriaci e da un ufficiale tedesco. Passavano tranquillamente fra molti soldati nostri. Fui catturato ferito su di un treno merci presso Udine (Pradamano) il 28 ottobre1917 alle ore 19.50 . Soltanto nella tarda mattinata del 31 ottobre, vedemmo profilarsi la speranza nell’avvistamento di un gruppo di giovani donne di Pradamano. Difatti, esse, resesi subito conto della nostra precaria e dolorosa situazione, mobilitarono tutti i paesani organizzando il trasporto dei feriti su carrette e barelle nel paese, dove fummo poi smistati tutti, circa 200 soldati e 6 ufficiali, sia nelle case che in alcune ville (io ero nella villa Otellio) dove, sia pure per pochi giorni, abbiamo vissuto per l’abnegazione e la carità della popolazione composta essenzialmente da donne e da uomini anziani dai quali fummo amorosamente assistiti. Fummo rifocillati e, nell’assenza di medici ed infermieri, la levatrice del paese iniziò le prime medicazioni con materiale sanitario di fortuna fornito dagli stessi paesani dopo averlo asportato dall’ospedale vuoto di Buttrio. Nella nostra breve permanenza a Pradamano, la nostra salvezza fu dovuta soltanto alla fraterna commovente gara di solidarietà umana da queste donne svolta giorno e notte senza soste. Poi giunse anche l’assistenza sanitaria da parte di alcuni medici militari che così riuscirono a strappare alla morte molti di noi. Il 5 di novembre, la villa Otellio fu requisita dal nemico per installarvi la sede del comando di corpo d’ armata. Sopra dei carri, tutti noi feriti fummo trasportati all’ospedale contumaciale di Udine tra il 6 e il 7 novembre. Il trattamento morale, materiale e sanitario avuto dai medici austriaci subentrati al personale sanitario italiano al comando del capitano medico Tagliatatela, fu ottimo sotto ogni rapporto ed il sottoscritto non ebbe fatti né interrogazioni né perquisizioni; essi, con molto zelo, giorno e notte si prodigarono senza sosta per eseguire gli interventi chirurgici e prestare le medicazioni di cui la maggior parte dei feriti aveva urgente bisogno. In previsione di un’imminente offensiva da parte degli austriaci, il 25 novembre il comando del corpo d’armata nemico deliberò che l’ospedale contumaciale di Udine doveva essere completamente sgombrato da tutti i feriti. Difatti l’ 8 dicembre, sopra un treno della Croce Rossa austriaca, tutti fummo trasportati nei campi di concentramento ospedalieri di Aschach, di Spratzern e poi di Mauthausen. Ad Aschach (f) l’assistenza sanitaria e il vitto lasciavano molto a desiderare: gli infer-mieri militari russi precedentemente catturati, in maggioranza erano tubercolotici. A Spratzern (g) invece, giunti dopo una sosta di 24 ore in un ospedale di Riderna di Lubiana, ci siamo trovati in un ambiente più pulito, mentre il vitto era del tutto insufficiente. Lì fummo collocati in 60 ufficiali in uno stanzone umido già adibito a prigionieri russi tubercolotici e sottoposti a un trattamento molto scadente. Vitto, riscaldamento, condizioni igieniche lasciavano molto a desiderare per quanto gli ufficiali medici nemici si siano mostrati molto cavallereschi. Il servizio era disimpegnato da prigionieri russi. L’8 febbraio venni trasferito all’ospedale di Aschach e da lì nuovamente al campo di Spratzern dove venni dichiarato invalido il 13 febbraio e inviato a Mauthausen (h) il 15 maggio. L’ultima tappa la passammo a Mauthausen, un lager dove erano ricoverati circa 10.000 feriti. Poiché tutti avevano urgente bisogno di molte cure, il comando austriaco, date le precarie condizioni delle attrezzature sanitarie e per la scarsezza di cibo, il 3 ottobre del 1918 decise di rimpatriare i più bisognosi sopra un treno della Croce Rossa italiana. Fui rimpatriato il 4.X.1918. Durante tutta la degenza ospedaliera ho pagato kr 3 giornaliere di mensa. Alla stazione di Como fummo trasportati in un vasto ospedale dove fummo assiduamente assistiti dai medici e dalle crocerossine. Dopo una sosta di circa due mesi, con treni attrezzati, fummo da Como tutti inviati nelle rispettive residenze di ciascun ferito. Giunto a Firenze, fui immesso nell’ospedale militare Gruppo Sacro Cuore del “Bargagli” posto sul lungarno. Nel marzo del 1925, mi fu conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “ Comandante di Sezione nel II° Reggimento di Artiglieria da montagna postata in prima linea, riusciva a far funzionare sempre i suoi pezzi. Avuto l’ordine di ritirarsi, in mancanza di muli iniziava il ripiegamento e deciso a non abbandonare i pezzi al nemico, li faceva trasportare a braccia non desistendo dal suo proposito finché non rimaneva gravemente ferito. Altipiano della Bainsizza, 24-25 ottobre 1917”. 24.X.1917 “….. l’artiglieria nemica reagisce debolmente in un primo tempo e dopo tace completamente, mantenendo invece la sua vivacità sulla Bainsizza…..” Tratto da “La campagna d’Italia del 1917” del generale Otto Von Below. Il generale di brigata Pirio Stringa, nel leggere la motivazione, disse che era degna di medaglia d’argento. Mi furono conferite inoltre due Croci al Merito di Guerra e fui autorizzato a fregiarmi della Medaglia istituita a ricordo della Guerra 1915-1918. Successivamente, nel 1968, mi furono conferiti la croce ed il titolo di Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto. Dal Generale Principe Maurizio Gonzaga fui decorato “sul campo” e proposto per il conferimento di una medaglia d’argento al Valor Militare. Giovanni Pietro Umberto Saija (a) Forte a km. 2 dal comune di Campo Calabro a m. 0 s.l.m.; la batteria da costa Siacci aveva 10 obici . (b) Forte a m. 992 s.l.m. a sud di Tai di Cadore, nel bellunese, a controllo della valle del Boite. (c) n.d.a. e volontari. (e) Ero a Santa Lucia quando ricevetti la notizia del conferimento della medaglia d’argento al Valor Militare da parte del Gen. Gonzaga. (d) Il forte Ruaz o meglio la tagliata stradale di Ruaz (Strassensperre Ruaz in tedesco) è una fortificazione austro-ungarica costruita tra il 1897 e il 1900 dall'impero austro-ungarico. Il forte appartiene al grande sistema di fortificazioni austriache al confine italiano, alle pendici del Col di Lana ad una quota di 1.400 m e, assieme al forte Corte, formava lo sbarramento Buchensteintal, appartenente al Rayon V. Lo sbarramento aveva il compito di controllare la strada che da Livinallongo porta ad Arabba, ovvero della valle del Cordevole. Questa tagliata stradale fu costruita assieme al forte Corte, assieme al quale, nelle prime settimane della prima guerra mondiale, andava a formare un importante sbarramento, che garantiva la difesa del territorio austriaco (val Badia, val di Fassa e val Gardena) dal Regio Esercito f) Il campo di Aschach, ca. 20 km ad ovest di Linz, vicino al Danubio, poteva contenere fino a 35.000 uomini. Vi furono internati 280 ufficiali. g) Spratzern, nella Bassa Austria, a sud di Sankt Polten, ospitò dal settembre 1914 un campo per prigionieri di guerra provenienti principalmente dal fronte dell’Est. h) Mauthausen fu il più grande campo di prigionia italiano dell’impero austro-ungarico ed il primo ad essere edificato. Ospitò sia soldati che ufficiali e servì alla raccolta ed allo smistamento dei pacchi, della corrispondenza e degli stessi prigionieri. Qui vennero anche radunati gli invalidi che, prima di essere rimandati in patria, qui ricevevano cure mediche e nutritive e venivano sottoposti a disinfestazione. || Si tratta di ricordi di guerra scritti dal fratello di mia nonna, ufficiale di artiglieria prima sul fronte dolomitico ed in seguito sul Carso. Ferito e prigioniero. Pluridecorato. || || Giovanni Saija, 21 maggio 1915, ultima foto insieme alla famiglia prima di partire || Photograph || Giovanni Saija, 21 maggio 1915, ultima foto prima di partire || || Photograph || Giovanni Saija || Giovanni Saija, 22 maggio 1915 - 10° Reggimento Bersaglieri || || Col Vaccher, 30 Dicembre 1915 || Photograph || S.tenente Giovanni Saija, Col Vaccher || Col Vaccher || || Col Vaccher, 30 gennaio 1916 || S.tenente Giovanni Saija, Col Vaccher || Photograph || || S.Tenente Giovanni Saija, Col Vaccher, in ricognizione || Col Vaccher, 30 gennaio 1916 || || Il comando del 33° Raggruppamento artiglieria da campagna, 1 febbraio 1916, alla destra del Cap. Bitossi || S.Tenente Giovanni Saija, alla destra del Cap. Bitossi, sulle alture di Ornella. || Alture di Ornella || 46.4869873,11.926661999999964 || Photograph || || Photograph || Quota 688, 1 Aprile 1916 || Quota 688 - Ornella, 1 Aprile 1916 || || Photograph || Tenente Giovanni Saija || 17 Settembre 1916, coi gradi di Tenente || || Foto con dedica alla famiglia : Per esservi sempre vicino, 28 settembre 1916. || Tenente Giovanni Saija || Per esservi sempre vicino, 28 settembre 1916 || || Medical || Memorabilia || Udine || Foglio di registrazione in qualità di prigioniero ferito || Deutsch || Front || Prisoners of War || Tenente Giovanni Saija || || Back || Deutsch || Tenente Giovanni Saija || Foglio di registrazione in qualità di prigioniero ferito || Memorabilia || udine || || Roma || Tenente Saija || Memorabilia || Artillery || Indagine disciplinare sulla cattura del Tenente Saija || Medical || Prisoners of War || || Remembrance || da sinistra :distintivo ufficiali in congedo, medaglia Armata del Grappa, 25° anniversario 1a GM, Giubileo Franz Jofeph, medaglie adunate alpini, distintivo mutilato in guerra. || Medal || Medaglie e distintivi || || Cappello alpino e decorazioni al valor militare || Photograph || || Maggiore Giovanni Saija, Trieste, adunata Alpini, 24 Maggio 1965 || Remembrance || Photograph || trieste
La slitta della Grande Guerra
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Il testimone, Emiliano Ceolato, presenta una slitta risalente alla Grande Guerra. Trainata dai cani, essa fu utilizzata sul Pasubio dal soldato semplice Piazza Domenico (reparto degli Alpini) per trasportare granate e barili d’acqua alle trincee della prima linea sul Monte Pasubio. E' stata custodita per molti anni in un granaio e poi restaurata dal testimone stesso.
Giulio Fiocchi combattente della Grande Guerra
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Giulio Fiocchi nasce a Lecco il 23 dicembre 1891, da Giulio, industriale e fondatore nel 1876 della fabbrica di munizioni Fiocchi & C, e da Giuseppina Cantù. Si laurea in legge nel 1917 a Genova. Di famiglia interventista, partecipa alla prima guerra mondiale, combattendo come ufficiale sul Piave, il Podgora, a Nervesa e sul Carso e riportandone tre ferite, una delle quali gli causa una lesione permanente al polmone destro. Decorato con medaglia d'argento al valor militare per il combattimento di Monfalcone (3 luglio 1916), riceve successivamente anche una medaglia di bronzo e una al valor militare. Nel dopoguerra, profondamente deluso dalla realtà socio - politica aderisce nel 1922 al Partito nazionale fascista; non condividendone però le violenze e l'incostituzionalità, restituisce la tessera nel 1926 e, con il passare del tempo, diventa apertamente antifascista. Tra il 1926 e il 1929 è nelle colonie italiane in Eritrea e in Somalia dove intraprende il commercio e l'esportazione delle banane. Tornato in Italia, stabilisce la sua residenza a Lecco e a Milano. Nel 1934 sposa Franca Origoni di Barasso. Nel 1943, la famiglia è costretta a fuggire da Milano per risiedere tra la casa di Clavière (Torino) e il Lecchese, fino a stabilirsi all'Hotel Serbelloni di Bellagio con altre famiglie di sfollati. Nel frattempo la ditta di famiglia viene occupata dai nazisti. Il 13 ottobre 1943 Giulio è arrestato dai nazifascisti e condotto nelle scuole di via Pignolo a Bergamo, dove viene interrogato; trasferito alle carceri giudiziarie di Bergamo, Carcere di S. Agata, viene processato con l'accusa di favoreggiamento della lotta partigiana, per aver procurato denaro, incoraggiato e fornito viveri, munizioni e armi ai partigiani lecchesi in Grigna. Condannato a tre anni di reclusione, da scontarsi dal 10 novembre 1943 al 9 novembre 1946, viene tradotto alle carceri militari di Verona del Forte di S. Mattia e poi deportato in Germania, dapprima a Monaco e il 25 gennaio 1944 nel carcere di Kaisheim, presso Donauwörth, in Bassa Baviera. La prigionia di Fiocchi è il prezzo da pagare ai comandi tedeschi che propongono la libertà di Giulio in cambio del trasferimento della fabbrica di armi e munizioni Fiocchi in Trentino, proposta rifiutata dallo stesso Giulio e dal fratello Carlo, presidente della società. A Kaisheim rimane fino all'arrivo degli americani e al rilascio dal campo avvenuto 18 maggio 1945. Torna a Bellagio il 3 giugno 1945. Nel dopoguerra, copre diversi impegni di volontariato come avvocato e presidente della sezione di Lecco dell'Associazione nazionale combattenti e reduci, occupandosi anche della ditta di famiglia, di cui è comproprietario. Muore a Milano il 21 gennaio 1973. La documentazione è conservata presso l'Istituto nazionala per la storia del movimento di liberazione in Italia di Milano. || I documenti allegati sono tratti dal carteggio familiare intercorso tra Giulio Fiocchi, la madre Giuseppina Cantù e il padre Giulio Fiocchi, da lettere di amici e conoscenti e da documenti militari. Nella lettera al padre Giulio, Fiocchi relaziona sulla battaglia del Podgora del 26-27 marzo 1916, mentre nella lettera di Piero Guidali a Fiocchi (31 luglio 1916) si narra la diserzione di cinque soldati austriaci. || || lettera di Giuseppina Cantù Fiocchi al figlio Giulio Fiocchi || Women || Lettera al figlio in cui si narra del lavoro svolto in casa per provvedere ai bisogni dei soldati e si raccomanda al figlio di diffidare dei nemici anche se feriti. || Letter || Giuseppina Cantù Fiocchi, Lecco || Lecco || || Women || Lettera di Giuseppina Cantù Fiocchi al figlio Giulio Fiocchi || lettera al figlio in cui si racconta l'attività delle donne per provvedere alle necessità dei soldati al fronte. || Lecco || Giuseppina Cantù Fiocchi || Letter || || non individuati || Official document || Distinta dei pezzi occorrenti per comporre una baracca || Elenco dei materiali necessari per costruire una baracca || || non individuato || non individuato il luogo || Verbale di consegna || Verbale di consegna compilato in occasione del passaggio di comando della 12ª Compagnia dal tenente Giulio Fiocchi al capitano Nunzio Laspada. || Official document || || battaglia del monte Podgora, 26-27 marzo 1916 || zona di guerra || Lettera di Giulio Fiocchi al padre Giulio || Lettera di Giulio Fiocchi al padre Giulio nella quale si descrive la battaglia del monte Podgora del 26-27 marzo 1916 || Letter || || Lettera di Piero Guidali a Giulio Fiocchi in cui si descrive la diserzione di cinque soldati austriaci. || Lettera di Piero Guidali a Giulio Fiocchi, 31 luglio 1916 || Letter || zona di guerra || || Letter || Lettera di Filippo Cesaris e don Luigi Cavagnis a Giulio Fiocchi || Letera in cui si dà notizia di numerosi caduti e feriti. || || luogo non individuato || magg. Crimi || Ordine del giorno con indicazioni relative a riunioni e punizioni || Deposito 8ª Fanteria II Battaglione di marcia: Ordine del giorno 10 novembre 1917 || Official document || || Verbale di consegna del comando della 5ª Compagnia del 269 Regg. da parte del cap. Giulio Fiocchi al cap. Aldo Varvelli. || Official document || zona di guerra || Verbale di consegna del Comando dal cap. Giulio Fiocchi al cap. Aldo Varvelli