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Amore e guerra

Spesso nei momenti difficili della vita si riscoprono i sentimenti più forti e sinceri, nelle circostanze dolorose il bisogno di vicinanza alle persone care si fa più urgente, nella prospettiva di un destino incerto, a volte tragico e travolgente di cui chi è protagonista dei fatti ha sentore. Sono vissuto in una famiglia i cui nonni, sia da parte materna che paterna, hanno attraversato gli eventi più intensi e in alcuni casi drammatici a cavallo di due secoli (‘800 e ‘900). Mio padre poi è vissuto negli anni ’20 e ’30 partecipando direttamente agli avvenimenti che hanno caratterizzato quel periodo. Questa è una storia come tante, una tenera vicenda sentimentale ricostruita attraverso le poche immagini rimaste, di cui sono protagonisti una coppia di miei zii. Li legava un amore profondo e sincero rimasto sempre vivo nei loro cuori negli anni che trascorsero insieme. Di questo amore le foto rappresentano una interessante testimonianza. Esse trovano voce anche grazie alle dediche riportate sul retro nella grafia originale. Rappresentano l’attestazione diretta della partecipazione alla Grande Guerra da parte di questo mio zio materno, medico, il dott. Felice Capani. Era un conte nato a Galatina in provincia di Lecce. Nel ’16 si era arruolato nell’esercito come tenente medico, ed era di stanza, credo, sul Pasubio nel 1917, nella guerra di trincea. Lo zio tornò illeso dalla guerra, ma per un crudele gioco del destino morì improvvisamente d’infarto nel ’28. La zia ancora giovane non si risposò più, serbando per sempre in sé la sofferenza per quella prematura perdita. È vissuta quasi cento anni (99 e sei mesi, per la precisione) ed era la baronessa Maria Antonietta Tafuri, nata a Galatone (provincia di Lecce) nel 1891. Prima di morire mi fece dono di queste foto, sapendo quanto fossi a lei affezionato e appassionato alle cronache di quel periodo. Spero possano rappresentare un sia pur piccolo contributo al vostro ricco archivio. Prof. Gianmarino de Riccardis
Foto n.1 (fronte-retro): Dott. Felice Capani di stanza sul Pasubio nel 1917 e dedica alla moglie; Foto n.2: Dott. Felice Capani di stanza sul Pasubio nel 1917; Foto n.3 (fronte-retro): Dott. Felice Capani di stanza sul Pasubio nel 1917 e dedica alla moglie; Foto n.4: Dott. Felice Capani con commilitoni e cannone austriaco conquistato; Foto n.5 (fronte retro): Ufficiale amico di famiglia, 1915 e dedica

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CONTRIBUTOR

Gianmarino de Riccardis

DATE

- 1928

LANGUAGE

ita

ITEMS

8

INSTITUTION

Europeana 1914-1918

PROGRESS

START DATE
TRANSCRIBERS
CHARACTERS
LOCATIONS
ENRICHMENTS

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METADATA

Source

UGC

Contributor

europeana19141918:agent/72c05926c6c5ce17e8641cc7f0b12d54

Type

Story

Language

ita
Italiano

Country

Europe

DataProvider

Europeana 1914-1918

Provider

Europeana 1914-1918

Year

1917
1928

DatasetName

2020601_Ag_ErsterWeltkrieg_EU

Begin

1917
Mon Jan 01 00:19:32 CET 1917
Sun Jan 01 00:19:32 CET 1928
Tue Jan 01 00:19:32 CET 1901
Fri Jan 01 00:19:32 CET 1926

End

1928
Mon Dec 31 00:19:32 CET 1917
Mon Dec 31 00:19:32 CET 1928
Sun Dec 31 01:00:00 CET 2000
Mon Dec 31 01:00:00 CET 1951
Sun Dec 31 00:19:32 CET 1933
Sun Dec 31 01:00:00 CET 1950

Language

mul

Agent

Baronessa Maria Antonietta Tafuri | europeana19141918:agent/152fc6ff26664a3d7c0d41d8010bb42d
Gianmarino de Riccardis | europeana19141918:agent/72c05926c6c5ce17e8641cc7f0b12d54
Conte Dott. Felice Capani | europeana19141918:agent/7fa34d7025596c8e456e95146e5f1f92

Created

2019-09-11T08:43:40.971Z
2019-09-11T08:43:40.942Z
2019-09-11T08:43:40.943Z
2014-05-14 19:54:37 UTC
2014-05-14 19:56:04 UTC
2014-05-14 19:56:06 UTC
2014-05-14 19:56:08 UTC
2014-05-14 19:56:09 UTC
2014-05-14 19:56:11 UTC
2014-05-14 19:56:13 UTC
2014-05-14 19:56:15 UTC
2014-05-14 19:56:17 UTC

Provenance

INTERNET

Record ID

/2020601/https___1914_1918_europeana_eu_contributions_15522

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Guerra e Amore

1 Item

Questa raccolta è frutto di anni di ricerca negli archivi di scrittura popolare, nei bauli delle soffitte, sulle bancarelle dei mercatini. Ne emerge un affresco poetico e toccante non solo sul piano affettivo, ma anche documentale, fatto di sentimenti e legami indissolubili, dove l'amore vince sulla guerra. || Alla vigilia del centenario dello scoppio della Grande Guerra (28 luglio 1914) è uscito in libreria “Guerra e Amore”, una raccolta di lettere d’amore dal fronte della prima e seconda guerra mondiale, edita da Stampa Alternativa, a cura della giornalista Claudia Cencini. In questo libro di lettere ripescate sulle bancarelle dei mercatini, nelle soffitte e negli archivi di scrittura popolare, si parla d’amore per dire no alla guerra. “Scritte a mano, sotto la luce di un lume a petrolio, queste lettere appartengono alle trincee della Grande Guerra, ai reggimenti del secondo conflitto mondiale – scrive nell’introduzione Lavinia Farnese - vanno dal soldato alla moglie, alla fidanzata, alla ragazza vista una volta e da allora “penzata” sempre. Contengono la promessa sgrammaticata di un ballo, al ritorno a casa, la paura del rombo, il freddo in tenda, le benedizioni e le bestemmie, il “brutto vivere, al buio di tutto”, la curiosità di sapere, da lontano, come stanno i “cocchini” o se è arrivato quell’abitino “spedito due mesi orsono, tanto carino”. Non conta la sintassi, a volte povera e sgrammaticata o il linguaggio anacronistico e la retorica d’altri tempi, ma l’autenticità di un pathos che il distacco amplifica. E, comunque, sorprende la poesia e la modernità di certe espressioni, la velata allusione a un’intimità taciuta per pudore o per censura. Gli epistolari più lunghi scandiscono storie di coppie spezzate, che cercano in una cartolina il filo di congiunzione rafforzato dalla fede e dalla speranza, per molti illusoria, di ritrovarsi. In altri casi è solo un flash, un disegno di Natale, una letterina fitta fitta, quanto basta per intuire chi sta dall’altra parte del foglio. Per tutti l’ossessiva attesa della posta è l’unico momento vivo della giornata. Ecco, allora, che la lettera ha il potere di azzerare le distanze e la parola scritta si fa speranza, sostegno, preghiera, ma soprattutto motivo di sopravvivenza: forse l’unico per migliaia di vite sacrificate al nulla. Come quella di Stefano Graffagnino, bottegaio originario di Salaparuta, nel trapanese, caduto il 20 ottobre 1916 sul monte Roite, in Trentino. Alla moglie fu recapitata una foto della piccola Rosa macchiata di sangue che il padre conservava nel taschino dell’uniforme. Così scriveva il 20 ottobre 1915 alla famiglia: “…Così tutti nel fanco e baste…” un’espressione dialettale incredibilmente vicina alle liriche ungarettiane. O le lettere di Jozsef alla sua Juliska, ritrovate dalla nipote Katalin: “Cara, la tua lettera del 5 l’ho ricevuta, mi scrivi di avermi spedito due pacchi: uno l’ho ricevuto aperto, conteneva solo un pane di 3 chili, si è un po’ seccato ma è tanto buono”. Appena ottenuto il congedo, morì in Serbia per scompensi cardiocircolatori causati dai traumi della guerra. Spirò alle dieci di mattina del 16 agosto 1918, lo stesso giorno che avrebbe dovuto lasciare il campo. Un soldato si preoccupa dell’orto e chiede alla moglie: “I piselli sono maturi?”, un altro rassicura la “morosa”: “Non sono mica tristo”. In altre prevale il fatalismo, è il caso di Giuseppe Navone, classe 1893, nel 1916 in prima linea sul Carso: “…Sono vestito di grigioverde, questa divisa mi mete una grande malinconia e l’unghe ore rimango turbato e silenzioso. Dio ci penserà.” o l’incapacità di capire le ragioni di una guerra che sfugge ai più, tra cui Giovanni Battista Bussi detto “Gasan”, sarto torinese figlio di mezzadri, amico e confidente di Cesare Pavese, il quale confessa: “Non ho ancora compiuto 19 anni e non ho istruzione e non comprendo il perché fanno le guerre” oppure: “Oggi sono andato di corvé assieme ai compagni della mia squadra, nel passare in un luogo oltre al fondo di questo vallone ho visto dei soldati che facevano delle grandi fosse e altri che ne coprivano delle altre nelle quali avevano messo delle salme avviluppate in teli da tenda una sopra all’altra come le acciughe e ci spandevano della calce sopra, prima di coprirle, abbiamo fatto alt e io gli chiesi come mai li seppellivano così tanti assieme. Mi risposero che quelli erano resti di morti tutti frammisti e che seppellirli uno alla volta era impossibile tanto non si sapeva nemmeno chi fossero”. Di ritorno dal Carso riprenderà ago e filo nonostante la perdita dell’uso della mano sinistra per una ferita di guerra. E anche a guerra finita l’attesa di un congedo che non arriva: “Non ne vogliono mandare a casa e ci tengono qui a patir la fame. Si mangia prosciutto marcio, carne in conserva e risina…Non c’ho proprio più voglia a scrivere perché son stuffo anche di questo… Mi credevo di fare S. Bartolomeo a casa. (…) mi voglio sposare subito. Sei contenta?” scrive nel 1919 un impaziente Giuseppe Barusso alla fidanzata Giovanna. Tina, invece, sogna di unirsi al marito in guerra e di raggiungerlo, come in una fiaba, sotto forma di candida colomba: “Vorrei essere colomba viaggiatrice per giungere a te con le mie bianche ali... Vuoi che arrivi? Domani? Stanotte? Addio, amore mio, a presto, solo per iscritto purtroppo, solo col pensiero rivolto a te perennemente... Solo coi baci che volano a mille. Tina tua”. Chi si aspetta di trovare in queste lettere accenti eroici o dichiarazioni di patriottismo rimarrà deluso, troverà eroismo – sì – ma quotidiano, volontà di sopravvivenza, paura mista a coraggio, l'amore che vince su tutto, che costituisce l’essenza stessa e la grandezza di un popolo. “La densità del no alle guerre, del no alle violenze, sta nell'affanno disperato di chi ha negli occhi il terrore e nelle orecchie le urla. Ogni lettera raccolta da Claudia Cencini è una testimonianza sincera. Ogni parola fissata è un filo spinato che separa la pace e l'amore dal suo opposto, la guerra, il dolore. Facciamone buon uso” è il monito di Gianluigi Paragone in quarta di copertina.

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Padre e figlio in guerra

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La casa reale e la guerra

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