Medaglie conferite a Giuseppe Pintacuda
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Giuseppe Pintacuda fu Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto, insignito di 5 medaglie: medaglia d'oro per il 50° anniversario della vittoria (1918-1968), la croce al merito di guerra, una medaglia coniata nel bronzo nemico, la medaglia interalleata della grande guerra per la civiltà e la croce dell'Ordine di Vittorio Veneto.
CONTRIBUTOR
Paolo Pintacuda
DATE
-
LANGUAGE
ita
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1
INSTITUTION
Europeana 1914-1918
PROGRESS
METADATA
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Medaglie conferite a Giuseppe Pintacuda
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Back || Giuseppe Pintacuda fu Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto, insignito di 5 medaglie: medaglia d'oro per il 50° anniversario della vittoria (1918-1968), la croce al merito di guerra, una medaglia coniata nel bronzo nemico, la medaglia interalleata della grande guerra per la civiltà e la croce dell'Ordine di Vittorio Veneto.
Giuseppe Pintacuda e le medaglie conferitegli.
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Giuseppe Pintacuda fu Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto, insignito di 5 medaglie: medaglia d'oro per il 50° anniversario della vittoria (1918-1968), la croce al merito di guerra, una medaglia coniata nel bronzo nemico, la medaglia interalleata della grande guerra per la civiltà e la croce dell'Ordine di Vittorio Veneto. La foto è stata scattata da mio padre Mimmo Pintacuda nonché figlio di Giuseppe, nel 1968. Rappresenta per me un contributo importantissimo dal momento che non ho avuto la fortuna di conoscere mio nonno e visto che quest'immagine è un ricordo che mi ha tramandato il mio caro papà.
Patatrac di Giuseppe Pintacuda
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Giuseppe Pintacuda fu Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto, insignito di 5 medaglie: medaglia d'oro per il 50° anniversario della vittoria (1918-1968), la croce al merito di guerra, una medaglia coniata nel bronzo nemico, la medaglia interalleata della grande guerra per la civiltà e la croce dell'Ordine di Vittorio Veneto. || Giuseppe Pintacuda (padre di Mimmo e nonno di Paolo) faceva parte della Brigata Foggia 281° Fanteria e fin dalla metà di maggio si trovava nei pressi di Camposampiero. Per quasi due mesi era stato in prima linea sul basso Piave, ma ormai da settimane non si sentivano che i rombi lontani di qualche artiglieria pesante. Il comandante del reggimento, il colonnello Laureati, approfittando di questo stato di tranquillità, volle istituire una filodrammatica e diede la direzione artistica al comandante del 2° battaglione maggiore Giovanni De Filippo da Montecassino. Quest’ultimo nominò suo vice Giuseppe Pintacuda che nella vita civile era professore, drammaturgo e poeta. Misero in scena “I mafiusi di la Vicarìa di Palermu” e “Feudalesimo”. Il palco fu messo su con predelle e porte sgangherate e per questa ragione, in vista di altre rappresentazioni che avrebbero tenuto alto il morale delle truppe, venne ordinato di costruirne uno migliore. Visto il successo delle due commedie il maggiore incaricò Pintacuda di scrivere una nuova commedia. Frutto di una notte insonne Giuseppe Pintacuda scrisse “Patatrac”, battezzata con quel titolo proprio dal maggiore De Filippo che alla lettura ne rimase divertito. Venne costruito il nuovo palco e vennero recuperati oggetti di scena da ciò che si riuscì a recuperare: abiti vecchi, cappellacci, armadi traballanti. Un certo caporale Mantioni si fece addirittura una parrucca depilando le code a una decina di vacche. Era il 16 giugno 1918 e poco prima che la commedia venga messa in scena, giunge l’ordine di partire dal comando supremo. Il giorno prima, alle sei, alcune divisioni nemiche erano riuscite a sfondare le linee al di qua del Piave. Si misero in marcia ben quattromila uomini su trenta autocarri e cominciarono a percorrere una via scoscesa e pietrosa. Viaggiarono tutta la notte. Alle prime luci dell’alba del 17 giugno la colonna si fermò. Erano arrivati a nel piccolo centro di Candelù. Carichi di tutto, comprese le maschere antigas, iniziarono la marcia a piedi. Dopo alcune ore ci si fermarono nei pressi di Fagarè, e Giuseppe Pintacuda vide quella casa sul muro della quale, alcuni giorni dopo, sarebbe apparsa una scritta che una famosa foto avrebbe reso celebre: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati”. Per fortuna del nemico non c’era traccia. Pochi minuti per il rancio, poi di nuovo in cammino fino a notte fonda. All’alba del 18, Giuseppe Pintacuda e tutti gli altri si trovarono di fronte il fragore della guerra. Fuoco, artiglieria, boati. Il “cessate il fuoco” che seguì però non prometteva nulla di buono. Un momento dopo infatti gli austriaci emisero un grido selvaggio e andarono addosso alle truppe italiane per scontrarsi petto a petto. Dopo un’ora di combattimento Pintacuda assistette alla ritirata degli austriaci. Ancora il silenzio, ma durò poco. Un altro grido, più agghiacciante del precedente: “I gas! Mettete le maschere!” Quella di Giuseppe Pintacuda sembra non funzionare bene, il respiro offuscò il vetro e questo non gli permise più di vedere dove stava andando. Si spostò confuso e cadde in una buca. La maschera si dislocò e lui respirò una boccata di aria... fresca. Per fortuna quello del gas era stato un falso allarme. Pintacuda si tolse la maschera e si ritrovò da solo. Bisognava ritrovare la strada, ma in quale direzione andare? Ne scelse una a caso. Camminò per un quarto d’ora circa e prima ancora di rendersene conto, un omaccione lo prese per la gola alle spalle e otto uomini gli puntarono i fucili. Erano gli austriaci. In un pessimo italiano l’omaccione gli chiese “Mangeria... mangeria!”. Pintacuda gli porse il tascapane. Presero tutto, la pagnotta e le scatolette e mangiarono avidamente. Sicuramente non mangiavano da tanto tempo. Allora Pintacuda si rivolse a quello che gli sembrò il capo e disse: “Io avere sotto chiave grandi magazzini di pane e carne, tu lasciare vita a me e io dare a voi molta mangeria”. L’altro tacque poi chiese: “Quando dare mangeria?”. “Quando fare buio...” fu la risposta. Quando si rimisero in cammino, Pintacuda tremava al pensiero del tiro che stava giocando al nemico e ciononostante diede l’impressione di sapere dove stava andando. Ad un certo punto per fortuna Pintacuda riconobbe la voce di un compagno, Nunzio Ingrassia da Palermo. Si rivolse agli austriaci “Io chiamare aiutante magazzino per portare qua pane e carne”. Gli austriaci abboccarono e Pintacuda si fece riconoscere dal compagno “Sugnu cu ottu becchi! Avvìsa a tutti di non sparari, furrìati ntunnu e facemuli fissa! (Sono con otto cornuti! Avvisa tutti di non sparare, accerchiamoli e facciamoli fessi”)” Parlò in siciliano per non farsi capire dal nemico, poi si rivolse loro e disse che stavano arrivando pane e carne. Dopo dieci minuti cento fucili erano puntati contro i nemici che furono circondati dagli italiani. Rivolgendosi a Ingrassia, Giuseppe Pintacuda disse: “Non ci hanno lasciato fare il nostro ‘Patatrac’ e noi lo abbiamo fatto a loro. E che Patatrac!”